Pratica…pratica…pratica…ma perchè? Cosa ci spinge tutti i giorni a salire su quel tappetino e stirare ogni singolo muscolo del nostro corpo, mettere tutta l’energia che abbiamo per riuscire a tenere una posizione per infiniti respiri fino a trasudare anche l’anima attraverso i pori della pelle? Cosa ci spinge a rischiare di cadere con la faccia per terra pur di tenere una posizione di equilibrio sulle mani? Non posso certo negare che per un lungo periodo del mio percorso personale sul tappetino, abbia inseguito le posizioni come fossero medaglie da collezionare e mostrare durante le mie parate sui social. Quando approdi nel mondo dello yoga moderno, quello sparato su tutte le vetrine possibili e immaginabili, e svilito di tutto quello che rappresenta la sua vera essenza, beh…è facile cadere nel tranello, ma è importante farlo: cadere nel tranello significa regalarsi una chanche. Non importa quale sia il motivo che ti porta sul tappetino, anche il motivo più stupido che ci sia, in quel momento ti sta portando anche se inconsapevolmente a guardarti dentro uno specchio…
Cosa rende lo yoga differente dalla ginnastica? Chi pratica yoga non dovrebbe farlo per imparare a fare la verticale, o a toccarsi i piedi con le mani, ma per qualcosa che seppur passando anche attraverso quello, non si limita ma anzi va ben oltre. La prima cosa che avviene è che si impara a respirare, ad ascoltare il proprio respiro, e a percepire quanto sia importante non solo per la sopravvivenza, ma per qualsiasi istante della nostra vita. Il respiro è presenza, e ascoltarlo significa esserci…in questo momento, in questo luogo, in questo corpo…provaci, ascoltati, sentiti…
Ogni movimento del corpo è accompagnato da un inspirazione o da un’espirazione, ed imparare a restare connessi con il respiro ci rende connessi con il corpo, con i suoi movimenti. Sembra una cosa così scontata e invece non lo è affatto.
Restare connessi con il corpo ci porta a sentirci, a vivere le tensioni, gli sforzi, i rilasci, a sentirli attraverso le nostre emozioni. Ricordo sempre il profondo desiderio di fuga dal tappetino, dal mondo, dalla vita ogni qual volta dovessi allungare i posteriori delle mie gambe. Solo il respiro era in grado di aiutarmi a stare, espirazione dopo espirazione, qualcosa cambiava, la tensione si alleggeriva, la fatica si attenuava, e piano piano giorno dopo giorno è diventato un vero e proprio modo per studiare il mio corpo, le sue reazioni, le mie…
Il desiderio di scappare lentamente ma inesorabilmente si trasformava in desiderio di esplorare le mie emozioni attraverso quei gesti.
E poi notare come ripetendo gli stessi asana in giorni, ma anche in momenti diversi della mia giornata, cambiava quello che vivevo durante la pratica, l’intensità e la forma delle sensazioni. Noi non siamo delle macchine che non cambiano mai le loro caratteristiche, siamo delle anime dentro ad un corpo che seguono un percorso chiamato vita, ed in questo percorso non esiste un solo istante simile all’altro, le nostre cellule vivono, si riproducono, muoiono, tutto è in continuo movimento e cambiamento.
Anche la nostra pratica lo è, e questo ci insegna un sacco di cose :
ci insegna a vivere ogni singolo momento, sul tappetino e nella vita, perché è l’unico e non tornerà più;
ci insegna ad accettare quello che arriva senza ostinarci ad inseguire forzatamente qualcosa quando non è il suo momento
ci insegna a cercare risorse dentro di noi, perché ne abbiamo molte più di quanto possiamo immaginare, e possiamo crearne di nuove.
Ci aiuta a capire che se possiamo sentire e vivere noi stessi attraverso lo yoga, possiamo anche fare il contrario, e durante le nostra giornate, durante il nostro lavoro, durante i momenti che ci mettono a dura prova, possiamo respirare, possiamo accettare, possiamo cercare e trovare in noi ciò che ci serve.
In altre parole, possiamo vivere… davvero.